
da Faust [Prima Parte]
in Opere, Sansoni Editore, Firenze 1970, p. 6, 7, 42
Prologo in cielo – Mefistofele, rivolto al Signore:
“Il piccolo dio del mondo resta sempre lo stesso, bizzarro come il primo giorno. Egli vivrebbe un po’ meglio se tu non gli avessi dato il riflesso della luce celeste, ch’egli chiama ragione e usa soltanto per essere più bestia di ogni bestia.”
Notte – Faust, inquieto:
“Filosofia giurisprudenza medicina, e, ahimè!, anche teologia ho studiato a fondo con fervido impegno. Ed eccomi ora, povero illuso, a saperne quanto prima. Ho il titolo di Maestro, anzi di Dottore, e saran dieci anni che, con giri e rigiri, sto menando per il naso i miei scolari e vedo che non ci è dato saper nulla.”
Il giardino di Marta – Faust a Margherita (che gli aveva chiesto se credesse in Dio):
“Non fraintendermi fanciulla soave! Chi può nominarlo? E chi confessare: credo in Lui? Chi avere un sentimento, e osar dire: non credo in Lui? Colui che tutto comprende e tutto regge, non comprende forse e regge te, me, se stesso? Non s’inarca il cielo lassù? Non sta quaggiù salda la terra? E non salgono forse in cielo le stelle eterne, splendendo vaghe? Non ti guardo io forse negli occhi, e tutto non fa ressa verso la tua testa e il tuo cuore, operando in un mistero eterno, invisibile e visibile, accanto a te? Rièmpitene il cuore quanto è grande e poi, inebriata da questo sentimento, chiamalo come vuoi, chiamalo Felicità Cuore Amore Dio! Io non so che nome dargli. Il sentimento è tutto; il nome è rumore e fumo che offusca lo splendore del cielo.”