Cancro del pianeta?

di Igor Giussani

Il cancro del pianeta, libro scritto da Bruno Sebastiani e pubblicato nel 2016 da Armando Editore, è uno dei contributi più significativi sfornati negli ultimi anni nel panorama dell’ecologismo italiano, assurto a una discreta notorietà grazie anche all’impegno profuso sul Web dall’autore per promuoverlo e illustrarne le tesi fondamentali. Da una presentazione dell’opera realizzata per Effetto Cassandra:

In un saggio di recente pubblicazione (“Il Cancro del Pianeta”, Armando Editore) ho immaginato che la nostra intelligenza anziché essere una scintilla divina o una mirabile opera della natura sia un tragico errore del processo evolutivo della vita, una via “svantaggiosa” imboccata casualmente dalla natura, che ben presto la abbandonerà per far ritorno a forme di vita meno distruttive per l’ambiente.
In pratica l’intelligenza umana sarebbe il frutto di un’abnorme evoluzione patìta dal nostro cervello, evoluzione che ci ha consentito di piegare a nostro vantaggio le leggi della natura, di squilibrare, sempre a nostro vantaggio, il delicato ed ultra complesso sistema di congegni e meccanismi biologici formatisi spontaneamente in milioni e milioni di anni, e ci ha consentito di farlo in un battibaleno, in poche migliaia di anni, un’inezia di tempo cosmico; ma che non ci ha consentito, né mai ci consentirà, di creare un nuovo equilibrio altrettanto solido come quello che abbiamo distrutto.
E per far meglio comprendere questa amara realtà a Homo sapiens, tanto orgoglioso della sua presunta superiorità, cosa di meglio che paragonare la sua azione distruttrice a quella delle cellule che danno origine alla malattia oggi più temuta, il cancro?

Concezioni affini al cancrismo sono già state sostenute in precedenza da alcune frange dell’ecologia profonda e talvolta hanno persino ispirato l’industria culturale, basti pensare al remake del 2008 di Ultimatum alla Terra, all’ideologia del personaggio Marvel di Thanos o al romanzo Inferno di Dan Brown. Sebastiani non elabora un pensiero sistematico, evita le disquisizioni tipiche della filosofia della scienza (come sottolineare le differenze tra ‘intelligenza’, ‘ragione’ e ‘razionalismo’), la sua divulgazione consiste più in suggestioni argomentate che in analisi scientifiche, essendo pressoché basata su asserzioni non falsificabili. Tuttavia, qualsiasi debolezza metodologica è ampiamente compensata da una potente abilità comunicativa, in grado di destare le coscienze e parlare al cuore di chi è colmo di frustrazione e insofferenza per il clima di apatica ignavia in cui si sta consumando la catastrofe ambientale globale.

Per un po’ di tempo sono stato attanagliato dal dubbio che il mio rigetto per le tesi de Il cancro del pianeta fosse dettato essenzialmente dall’incapacità di accettarne le conclusioni dure e sconfortanti. “La verità non è il rimedio ma, all’opposto, la radice dell’angoscia” (Emanuele Severino); quante volte preferiamo autoingannarci per non abbandonare illusioni seducenti e consolatorie?

Ogni timore è stato però spazzato via nel momento in cui, ragionando a mente fredda, mi sono accorto della curiosa somiglianza tra la strategia argomentativa di Sebastiani e quella che, sulla carta, dovrebbe rappresentare la sua perfetta nemesi, ossia la mitologia umanista-progressista. A quel punto mi si sono drizzate le antenne perché, se questa è falsa e fuorviante (come abbiamo spesso ripetuto e dimostrato), non può essere riabilitata solo affibbiandole un giudizio opposto, degradandola cioé da ‘buona’ a ‘cattiva’ ma lasciandone inalterati i contenuti fondamentali. Ecco alcune singolari analogie tra i due pensieri:

  • popoli, classi sociali, culture, individui, ecc. spariscono nel calderone dell’etichetta onnicomprensiva ‘umanità’;
  • la narrazione di tale umanità, dall’età della pietra ai giorni nostri, si basa sul presupposto che essa abbia immancabilmente adottato la forma mentis della cultura occidentale-industriale;
  • si propone una ricostruzione storica lineare di tipo ‘evoluzionistico’, testimoniante il graduale e inesorabile avanzamento verso la meta di riferimento (progresso o contagio finale);
  • si demarcano in modo manicheo razionalismo e irrazionalismo;
  • si enfatizza la distruttività dell’uomo preindustriale verso la Natura per evidenziare la presunta continuità di comportamenti fino ai giorni nostri, lasciando intendere che l’antiecologismo sia connaturato alla nostra specie (un articolo di Sebastiani sulle crisi ambientali causate dai primitivi mi ha ricordato alcuni scritti di Chicco Testa e altri ipersviluppisti, volti a sminuire l’eccezionalità dell’attuale devastazione della Terra);
  • vige il più totale determinismo: così come il progressismo ritiene che la Ragione tramite la scienza e la tecnica risolverà ogni problema, Sebastiani sostiene al contrario che l’umanità-cancro sia irrimediabilmente condannata per colpa della smisurata intelligenza;
  • si presentano una serie di fatti ad hoc attribuendo loro un valore esemplare e universale, per convalidare una tesi predeterminata.

Riguardo all’ultimo punto, vorrei soffermarmi sulla carrellata delle ‘immagini di cui vergognarsi‘, esposte sul sito Web dedicato alla promozione del libro. Malgrado l’innegabile valore documentario, questa mostra dell’orrore finisce per suscitare lo stesso effetto della propaganda umanitaria basata sull’esibizione agghiacciante di malattia e denutrizione: si prova grande cordoglio e fortissimo disagio, ma anche un profondo senso di impotenza e rassegnazione. Un pugno nello stomaco che certo ti fa vergognare – proprio come nelle intenzioni di Sebastiani – ma non particolarmente utile per riflettere con sufficiente lucidità sulle cause del male; la visione di tanto abominio, oltre a far propendere per spiegazioni perentorie e semplicistiche, ti induce a pensare che sia irrimediabile. Ecco una foto con relativa didascalia:

Tarsand1

L’inferno in terra. Questa l’immagine che si presenta a chi visita un’area consistente della provincia canadese dell’Alberta. Qui c’è il giacimento più ampio al mondo di sabbie bituminose (le famigerate “tar sands”) da cui si ricava una sostanza vischiosa simile al petrolio. In epoca di penuria di combustibili l’uomo è disposto a sconvolgere l’epidermide di Gaia pur di continuare a far funzionare le sue macchine. In questo caso il cancro del pianeta assume le sembianze di un melanoma.

Il mix sagace tra immagine di grande effetto, contenuto informativo e condanna morale attribuisce al testo il tenore di una sentenza inappellabile; se si riesce però a fare un passo al di là dello sdegno e del disgusto, saltano subito all’occhio alcune criticità. L’etichetta ‘uomo’ raggruppa indistintamente gli industriali che causano tale scempio, i politici che lo avallano, i comitati cittadini che lo combattono, le tante persone che usufruiscono di derivati del petrolio per lo più obbligate dalle circostanze e le altrettanto o più numerose che ne fanno scarsissimo uso: tutti bollati quale cellule maligne, malgrado i diversi gradi di responsabilità compromissione e nonostante gli individui maggiormente collusi siano poche decine. Pertanto, trovandomi nei panni dei proprietari del giacimento di sabbie bituminose o di chi ne trae lucrosi vantaggi, grazie a Il cancro del pianeta troverei non pochi alibi per giustificare il mio operato. La devastazione è logica conseguenza della ragione umana-cancro? Allora siamo tutti colpevoli, ma, si sa, tutti colpevoli = nessun colpevole. Ricordate gli stupratori che, nel tentativo di minimizzare i propri crimini, hanno fatto appello all’innata propensione libidinosa del sesso maschile verso le donne?

Non si tratta dell’unico aspetto sinistro del cancrismo. In un’altra sezione del sito, quella dedicata agli ‘Uomini contro‘, vengono elencate una serie di grandi personalità della storia che, a vario titolo, hanno criticato la ragione e le pretese umane di conoscenza.  Nell’enorme eterogeneità (vengono accomunati Lao Tse, Aristofane, Blaise Pascal, Jean Jacques Rousseau, Giacomo Leopardi, Fëdor Dostoevskij, per citare alcuni nomi), spicca la presenza di esponenti della Chiesa cattolica, in quanto la fede – atto irrazionale per eccellenza – è qui considerata in un’accezione positiva. Tuttavia, se si può comprendere il riferimento a Tertulliano o San Francesco d’Assisi, l’autorevolezza attribuita a Papa Innocenzo III suscita non pochi interrogativi. Sebastiani la spiega così:

Lotario di Segni (1161 – 1216): «Scrutino pure l’universo i sapienti, investighino le altezze del cielo, la superficie della terra, la profondità del mare, disputino e trattino d’ogni cosa, apprendano o insegnino, che cosa trarranno mai da tale occupazione, se non fatica e dolore ed afflizione dell’animo?» Se nessuno si fosse affaticato nello studio della materia, non sarebbe mai nata la scienza né la sua fedele ancella, la tecnica, e l’uomo non avrebbe distrutto la natura. «La natura ci conduce poveri al mondo e poveri ce ne ritrae.» Scrisse “De Contemptu Mundi” (“Sul disprezzo del mondo”). Divenne Papa con il nome di Innocenzo III.

Per la cronaca, Innocenzo III è stato uno dei massimi esponenti della teocrazia e della relativa superiorità del potere spirituale su quello temporale, ha iniziato il processo di trasformazione del papato in una monarchia assoluta, ha fondato il tribunale dell’Inquisizione e promosso lo sterminio degli eretici catari della Linguadoca bandendo la sanguinosissima ‘crociata contro gli albigesi’. Possibile che, preso dal fervore di condannare la ragione, Sebastiani non si accorga di esaltare un individuo che ha strumentalmente attaccato il libero arbitrio allo scopo di imporre il proprio dominio? Più in generale, come scordarsi che le ideologie assolutiste (si veda ad esempio Joseph De Maistre, esponente filosofico di punta della Restaurazione) legittimavano anch’esse le loro pretese accampando come motivazione l’inemendabile peccaminosità del popolo? Non sorge il sospetto che l’umanità-cancro possa servire da pretesto per qualche autoritarismo sedicente ecologico, che adduca la scusa di salvare il pianeta dalle ‘metastasi’?

Chi pensasse che insistere cavillando su ogni singola argomentazione di Sebastiani sia un mero esercizio di stile che finisce per guardare il dito anziché la luna, avrebbe perfettamente ragione. Il sostegno al cancrismo, come è giusto che sia per una concezione dichiaratamente anti-intellettuale, passa attraverso una sorta di adesione interiore non riducibile a riflessioni puramente razionali; è quindi preferibile farla finita con il decostruzionismo proponendo invece una visione alternativa che, al pari del cancrismo, suggestioni adeguatamente la ragione per eccitare il sentimento. Compito arduo, ma lo ritengo un atto dovuto per tutti coloro che, per quanto possano pensar male di se stessi e della specie a cui appartengono, non vogliono ancora considerarsi un tumore maligno.

A tal fine, è opportuno sbarazzarsi della narrazione oramai logora da cui attingono progressismo e antiprogressismo, insieme alle dicotomie ‘Uomo vs Natura’, ‘ragione vs irrazionalità’, accettando serenamente – ma criticamente – le contraddizioni insite nell’essere umano e nelle sue attitudini ‘innaturali’, non foss’altro perché è stata la Natura stessa ad attribuirgliele fin dal tempo più remoto.

La prima e più importante ‘natura innaturale’ dell’uomo è la capacità di poter modificare, anche radicalmente, l’habitat in cui vive, molto più di qualsiasi altro appartenente alle specie viventi. Ammesso ciò, si tratta di capire come intervenire, se alla maniera dei deliri dell’Antropocene ben descritti da Sebastiani oppure – seguendo l’esempio dei polder olandesi, dei paesaggi antropizzati della permacultura, del progetto di Grande Muraglia Verde in Sahara e Sael – cercando di esaltare la fecondità naturale.

Il secondo aspetto da considerare è che, a differenza degli altri animali, l’uomo si interfaccia con la Natura solo minimamente tramite le informazioni contenute nel suo patrimonio genetico, prevale di gran lunga la mediazione attraverso la cultura; tale fattore si è visto all’opera nel diverso destino occorso agli abitanti di Rapa Nui (Isola di Pasqua) rispetto a quelli di Tikopia, malgrado – come spiegato da Jared Diamond in Collasso – dovessero fronteggiare le medesime avversità in condizioni analoghe (per qualche bizzarra ragione, però, i rapanuensi vengono spesso elevati a emblema dell’umanità, mentre i tikopiani non se li fila nessuno).

Le spiegazioni biologiche-genetiche creano una cortina fumogena, occultando evidenze che metterebbero in guardia dal tracciare parallelismi impropri tra presente e passato. Le popolazioni dell’era premoderna avevano scarse o nulle conoscenze sul funzionamento della biosfera, non pretendevano di dominare la natura (ne erano anzi soggiogati), vivevano in un regime di scarsità e non ragionavano in termini di profitto, produttività ed efficienza; i dissesti ambientali che talvolta provocavano, non dissimili da quelli causati da certe specie animali quando si rompono determinati equilibri ecosistemici, assumevano un carattere locale e per lo più reversibile. Identificare un trait d’union con l’odierna distruzione consapevole, interessata e praticata in un contesto in cui alla scarsità si è sostituito lo spreco, è del tutto mistificatorio.

Abbandoniamo quindi al loro destino le astrazioni aleatorie sulla ‘natura umana’ – con le quali si può dimostrare tutto e il contrario di tutto – insieme alle ricostruzioni storiche trasudanti di cherry picking; concentriamoci invece sul tanto trascurato aspetto sociale, analizzando le istituzioni e tutti gli artifici culturali che mediano i rapporti tra le persone, per comprenderne i valori che veicolano e, da qui, studiare le conseguenze che producono nell’interazione con la biosfera.* Un’analisi rinnovata sul rapporto tra Uomo e Uomo, finalmente libera da categorie totalizzanti, potrebbe rivelare aspetti importanti e trascurati su quello tra Uomo e Natura (questo è il presupposto dell’ecologia sociale di Murray Bookchin, ad esempio).

Preso atto della debolezza dell’impianto concettuale de Il cancro del pianeta, esorto invece a conservarne l’impegno morale. Infatti, nonostante ritenga inevitabile lo sfacelo e raccomandi la ricerca della soddisfazione individuale, Sebastiani sostiene con forza l’implementazione di quelle che talvolta chiama ‘cure palliative’, ossia interventi ecologici radicali. Nella ‘Lettera aperta ai giovani che lottano per la salvezza della biosfera‘, dopo aver sommariamente esposto la propria visione, si congeda con un auspicio del tutto condivisibile:

Pur in presenza di una situazione tanto grave è doveroso tentare di mettere in atto ogni azione che possa scongiurare, o quanto meno ritardare, la distruzione della biosfera. Per tale motivo è assolutamente necessario avviare sin da subito ogni iniziativa volta alla decrescita.

Riguardo a Sebastiani, mi preme distinguere l’idiosincrasia per il teorizzatore del cancrismo dal profondo rispetto che nutro per la persona in sé. Ho infatti imparato sulla mia pelle che, purtroppo, all’interno del panorama ambientalista campano diversi lupi travestiti da agnelli, in particolare guru bramosi di seguaci adoranti che amano ergersi in cattedra, refrattari a qualsiasi critica o serio confronto. Sebastiani non ha nulla da spartire con tali figure: raggiunte le settanta primavere, non ambisce a un ruolo da influencer, si è costruito una nicchia di felicità familiare attorno a un bed & breakfast gestito a Celle Ligure (significativamente chiamato Joie de Vivre), l’attività di divulgatore rappresenta solo un tassello che si aggiunge a tale oasi di serenità personale. Pur non avendo avuto il piacere di conoscerlo fuori dalla Rete, ho potuto apprezzarne il comportamento sempre improntato alla massima correttezza, malgrado le prevedibili polemiche scatenate dalle sue idee controverse. Se mi stesse leggendo, ne approfitto anche per chiarirgli che ho preferito declinare l’invito ad aderire al gruppo Facebook ‘Cancrismo’ solo per una questione di opportunità, in quanto avrei finito per intervenire ripetutamente esprimendo il mio dissenso; l’esperienza mi ha insegnato che tale atteggiamento, anche quando sostenuto in buona fede, alla lunga finisce per sortire il medesimo effetto di un troll, scatenando dissapori che vanificano qualsiasi contributo utile. Eventualmente, questo articolo critico è sicuramente una base migliore per una discussione proficua.

*Sebastiani non ignora tale aspetto e, su di un articolo scritto per neuroscienze.net, ha annunciato che se ne occuperà in un nuovo libro la cui uscita è prevista per il 2020; peccato però che si annunci già plasmato attorno alla narrazione anti-progressista: “L’argomento sarà infatti la complessità dell’organizzazione sociale che abbiamo creato e l’ineluttabilità del suo continuo progresso sino alla crisi finale”.

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http://www.decrescita.com/news/cancro-del-pianeta/

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