di Bruno Sebastiani
Il Medio Evo gode di cattiva fama. È ritenuto periodo buio della storia umana, dominio di superstizioni, oscurantismo e intolleranza, al punto che al termine “medievale” in accezione figurata il vocabolario Treccani dedica questa definizione: «Caratterizzato da concezioni e principî superati e retrogradi».
Eppure in quei secoli furono anche gettate le basi delle scienze moderne, delle città, delle banche e dei commerci internazionali. In campo filosofico avvenne la rinascita del pensiero aristotelico, fondamento dei successivi progressi in campo speculativo e scientifico.
Ecco il perché del sottotitolo “L’Età di Mezzo tra tensioni contrapposte”. Effettivamente in Europa tra il V e il XV secolo, lungo un arco di 1.000 anni, si verificò uno scontro titanico tra chi vedeva nel progresso delle arti e delle scienze un mortale pericolo per la Fede e chi, pur dichiarandosi credente, non intendeva rinunciare ad utilizzare la ragione per indagare, fin dove possibile, i misteri della vita e della natura.
Questi ultimi ebbero la meglio e salirono sul palco dei vincitori, ma la ragione da essi sostenuta si affrancò nei secoli successivi dai legami con la Fede e contribuì ad avviare quel lento declino della vita religiosa che oramai è sotto gli occhi di tutti. Ma questa è un’altra storia.
L’articolo che state leggendo è dedicato ai “perdenti”, a coloro che si opposero strenuamente all’uso della ragione quale strumento di indagine e che avrebbero voluto mantenere la società in una sorta di perenne status quo.
Gli asceti cristiani cercarono di realizzare il loro intento contemplativo in vari modi, dal romitaggio nel deserto (di cui ho parlato in un precedente articolo) alla permanenza in cima ad una colonna (i cosiddetti “stiliti”), fino al vagabondaggio senza meta di chi viveva sempre all’aperto e si nutriva solo di radici ed erbe.
Tutti costoro non facevano certamente appello alla ragione per spiegare la loro condotta di vita: per essi la Fede era necessaria e sufficiente a giustificare ogni loro comportamento.
Tra questi vi erano i monaci che vivevano sugli alberi, i cosiddetti “dendriti” (dal greco déndron = albero). Uno di costoro fu Davide di Salonicco (450 – 535) che visse su un albero vicino al suo monastero per tre anni.
La caratteristica che li rende particolari come emblematici oppositori al “progresso” è che percorsero a ritroso la strada a suo tempo imboccata dall’Australopiteco, il quale discese dagli alberi per assumere gradualmente una posizione eretta, camminare in pianura e divenire -attraverso infiniti passaggi – Homo sapiens. Essi, i “dendriti”, tornarono sugli alberi e scelsero questi organismi viventi per raccogliersi in contemplazione, immersi nella natura.
Un’altra forma di ascetismo del tutto particolare che dal VI secolo andò sviluppandosi ben oltre la fine del Medio Evo, prevalentemente nel mondo ortodosso, fu quello dei Folli (o Stolti) in Cristo.
Già dalla loro denominazione si comprende quanta poca stima essi attribuissero al progresso materiale e ad ogni elucubrazione intellettuale.
Il fondamento del loro modus vivendi risiedeva in alcuni passaggi della prima lettera di San Paolo ai Corinzi:
«… Dio ha scelto ciò che nel mondo è stolto per confondere i sapienti, Dio ha scelto ciò che nel mondo è debole per confondere i forti, Dio ha scelto ciò che nel mondo è ignobile e disprezzato e ciò che è nulla per ridurre a nulla le cose che sono …» (1, 27 – 28)
«Noi stolti a causa di Cristo, voi sapienti in Cristo; noi deboli, voi forti; voi onorati, noi disprezzati. Fino a questo momento soffriamo la fame, la sete, la nudità, veniamo schiaffeggiati, andiamo vagando di luogo in luogo, ci affatichiamo lavorando con le nostre mani. Insultati, benediciamo; perseguitati, sopportiamo; calunniati, confortiamo; siamo diventati come la spazzatura del mondo, il rifiuto di tutti, fino ad oggi.» (4, 10 – 13)
Su queste basi stuoli di asceti presero a percorrere campagne e città rivestiti di poveri stracci, talvolta addirittura ignudi, fingendo pazzia, insultando i passanti, ricevendo insulti e botte in contraccambio.
Ma in quei secoli non solo i più umili e ignoranti si opposero al progresso. Anche insigni uomini di Chiesa cercarono di contrastare l’avanzata della ragione, seppure con sensibilità e atteggiamenti ben diversi uno dall’altro, come nei tre casi che propongo.
Pier Damiani (1007 – 1072), teologo, vescovo e cardinale, fu un radicale oppositore del tentativo di giustificare l’esistenza di Dio per via razionale, impresa che affascinò la gran parte dei filosofi medievali (per restare nell’undicesimo secolo basti fare il nome di Anselmo d’Aosta).
In una epistola indirizzata ad un monaco di nome Ariprando e titolata “De sancta simplicitate scientiae inflanti anteponenda” (“Sulla santa semplicità, da preferire alla scienza che si gonfia”), Pier Damiani nel primo capitolo (titolato “Scientiae cupiditas quam perniciosa” – “Come sia pericolosa la bramosia della scienza”) scrive:
«Chi intendeva lanciare sul mondo gran quantità di tutti i vizi fece della bramosia di sapere il condottiero di questo esercito, e così per suo mezzo riversò sul povero mondo tutte le schiere dell’iniquità.»
Lotario di Segni (1161 – 1216) divenne Papa nel 1198 con il nome di Innocenzo III. Negli anni precedenti alla sua investitura scrisse una violenta invettiva contro la corruzione dei costumi, dall’eloquente titolo di “De contemptu mundi” (“Sul disprezzo del mondo”).
«O madre mia, a che generasti questo figlio dell’amarezza e del dolore? Perché non son morto nell’utero di mia madre, o almeno perché non spirai appena nato? A che fui accolto su le sue ginocchia, lattato dalle sue mammelle ed allevato, per divenir esca e cibo del fuoco?»
Sembra di leggere Cioran. Con la differenza che Lotario, essendo uomo di Chiesa, disprezza il mondo e la materia per maggiormente esaltare il Dio in cui ripone ogni speranza.
È un atteggiamento che accomuna gran parte della spiritualità medievale. Il disprezzo nell’opera di Lotario si estende a tutto il sapere, che non è –a suo avviso – se non il desiderio di studiare, catalogare, capire i meccanismi che regolano le cose materiali.
«Scrutino pure l’universo i sapienti, investighino le altezze del cielo, la superficie della terra, la profondità del mare, disputino e trattino d’ogni cosa, apprendano o insegnino, che cosa trarranno mai da tale occupazione, se non fatica e dolore ed afflizione dell’animo?»
Di tutt’altra sensibilità l’ultimo campione dell’anti-progressismo medievale che propongo alla vostra attenzione, San Francesco d’Assisi (1181 – 1226). Anch’egli rifiutò caparbiamente il mondo, al punto che «da molti era reputato stolto, e come pazzo era schernito, e scacciato con pietre …» (dalla biografia di Frate Leone). Ma la sua forza di volontà e le sue doti naturali di “capo spirituale” gli fecero superare ogni difficoltà e gli consentirono di fondare, contro il parere di tanti curiali, uno degli ordini religiosi più importanti della Chiesa cattolica.
In lui l’amore per la povertà si univa al sovrano disprezzo nei confronti del denaro.
«Il verace amico e seguitatore di Cristo Francesco, tutto che aveva di mondano altamente dispregiando, in special modo aveva a schifo il danaro, e a fuggirlo quanto il demonio i frati suoi stimolò coll’esempio e colle parole. Imperocchè tale ammaestramento aveva dato a’ suoi frati, di tenere in eguale misura di amore sì lo sterco che il danaro.»
In un altro capitolo del testo attribuito a Frate Leone, Francesco, descrivendo le qualità che avrebbero dovuto possedere il Ministro generale suo successore, dice: «Abbia in orrore il denaro, come prima cagione di corruzione di nostra professione e perfezione»
Il disprezzo che Francesco e tutti gli asceti hanno sempre avuto nei confronti del denaro sottintende il rifiuto di tutto ciò che la mente umana ha prodotto a maggior vantaggio della nostra specie, in una parola del progresso.
Questa verità è confermata dal sentimento di rigetto che ebbe Francesco nei riguardi del sapere e della scienza; «il beato Francesco non voleva che i suoi frati avessero sete di scienza e di libri».
«Grande rammarico sentiva il beato Francesco se con danno della virtù si seguitasse la scienza vana, in ispecie se qualcuno non perseverasse in quella vocazione a cui fin da principio fu chiamato. Diceva invero: “I frati miei che dalla curiosità della scienza son guidati, nel dì della tribolazione troveranno vuote le loro mani.”»
Ecco tre esempi di grandi uomini del Medio Evo che avversarono progresso e scienza, senza peraltro riuscire a modificare il corso della storia.
Se domani questo corso dovesse condurre l’umanità ad esiti disastrosi, forse qualcuno rimpiangerebbe che da quella Età di Mezzo non siano risultate vincenti le idee di Pier Damiani, Lotario di Segni e Francesco d’Assisi.
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Pubblicato su “Che vi do?” N. 90 Luglio 2018, organo della Società Pane Quotidiano
Un pensiero riguardo “Il cammino del progresso e i suoi oppositori – 2 – L’Età di mezzo tra tensioni contrapposte”