di Bruno Sebastiani
L’uomo è l’unico essere vivente dotato di un’intelligenza talmente sviluppata da poter contravvenire a numerose leggi di natura.
Il percorso in base al quale la nostra specie modifica a proprio vantaggio l’ambiente che la circonda si definisce abitualmente con il termine di “progresso”.
La grande maggioranza degli esseri umani ha manifestato negli ultimi secoli un sincero entusiasmo nei confronti di tale percorso.
Ma in passato non è stato sempre così e in futuro il numero degli anti-progressisti aumenterà man mano che i disastri ambientali causati dall’uomo saranno sempre più evidenti.
Per esaminare chi in passato si è opposto al mito del “progresso” e come e perché ciò è avvenuto, occorre riflettere sul fatto che l’intelligenza umana, superata la fase dell’”animalità”, si è immediatamente rivolta alla ricerca delle proprie origini e dei propri fini esistenziali.
Chi sono io, da dove vengo, qual è il mio destino, cosa mi accadrà dopo la morte? Queste sono le domande che l’intelletto pose ad Homo sapiens non appena superato il confine tra bestia e uomo (e sono le stesse che continua a formularci).
Non trovando nella notte dei tempi (e neppure oggi) risposte di per sé evidenti, l’essere umano se ne è create di “plausibili” facendo ricorso all’analogia: così come il bambino nasce da un padre e da una madre, in modo simile l’intera nostra specie deve essere stata originata da un “padre celeste” e da una “madre celeste”, che premiano in vita i virtuosi e castigano i malvagi (come avviene nelle nostre famiglie). E il concetto di premio e di castigo, sempre per analogia, venne applicato anche all’aldilà, con le elaborazioni concettuali denominate “paradiso” ed “inferno”.
Nacquero, in breve, le religioni e i miti.
Ad ogni latitudine, ad ogni longitudine, man mano che le capacità intellettive crescevano oltre un certo limite, ogni tribù di ominidi elaborò un mito cosmogonico e un complesso di leggende che, generazione dopo generazione, si trasformarono in religioni, alcune delle quali si sono tramandate fino ad oggi.
Dapprima tali miti e leggende si trasmisero per via orale, poi, con l’invenzione della scrittura, si cristallizzarono nei cosiddetti “testi sacri”.
Ecco, questo “progresso” prodigioso dell’intelletto umano, la scrittura, che permise di oggettivare concetti, pensieri e storie dapprima trasmessi unicamente a parole, paradossalmente si trasformò in un serio ostacolo all’ulteriore avanzamento del “progresso” medesimo.
Se il Dio creatore, o un suo rappresentante universalmente riconosciuto, avevano proclamato a gran voce la “verità”, con quale diritto un qualsivoglia essere umano poteva affermare teorie non in linea con i dogmi e con la dottrina?
In Oriente le principali religioni fiorirono nel sub-continente indiano e in Cina.
I Veda sono tra i primi testi sacri messi per iscritto da mano umana e risalgono ad alcune migliaia di anni avanti Cristo.
Anch’essi, come tutti gli altri, pongono l’uomo al centro della creazione: addirittura l’intero Universo avrebbe tratto origine dallo smembramento di un “Uomo cosmico”.
Ma, una volta stabilità la superiorità dell’essere umano su ogni altro vivente, la più elevata attività che egli è chiamato a svolgere sembra essere la “non attività”: l’asceta dai lunghi capelli (kesin) è dedito a un insieme di pratiche che verranno poi codificate nelle tecniche dello yoga. Egli vola attraverso lo spazio mediante la potenza del tapas (il “calore interiore”) e contempla le varie specie di esseri. Che distanza dallo sfrenato attivismo dell’uomo contemporaneo!
Brahamanesimo e Induismo sorgono da sopravvenienti esegesi dei Veda e popolano il mondo religioso indiano di dèi, miti e leggende in modo oltremodo prolifico. Ma, come ebbe a notare Pio Filippani Ronconi in un suo libro dedicato all’Induismo, «causa meraviglia il fatto che lo sviluppo del pensiero logico-discorsivo non abbia condotto, in India, a una ricerca rivolta al mondo obiettivo, come in Grecia, bensì abbia singolarmente rafforzato l’impulso verso una gnosi, che ricerca la verità del mondo attraverso una via interiore …»
Il Giainismo è un’altra religione fiorita in India che predica l’assoluto rispetto della natura (e quindi contrasta ogni tipo di “progresso” ai danni della medesima). Il primo dei cinque voti richiesti ai devoti consiste nell’astenersi dal violare la santità della vita, sia umana che animale.
Il Buddhismo nacque in India per diffondersi poi in gran parte dell’Asia. Il suo fondatore, Siddhartha Gautama, predicò il distacco dal mondo e la rinuncia ai beni materiali come via per ricevere l’illuminazione e raggiungere il Nirvana, lo stato in cui si ottiene la liberazione da ogni inquietudine.
Il Taoismo è religione / filosofia cinese che potremmo definire “panteista”: il Tao è il Tutto (la Natura?) e noi uomini non possiamo attingere alle realtà supreme, che tanto ci precedono e ci sopravanzano. Il Principio è chiamato Mistero, la soglia dell’inafferrabile.
Come si vede queste scuole di pensiero predicano il rispetto assoluto della natura, opponendosi, di fatto, agli scempi che di lì a poco l’uomo occidentale avrebbe iniziato a farne in nome del “progresso”.
Meno mistico e contemplativo, ma più razionale e antropocentrico, fu l’insegnamento di Confucio che 2500 anni or sono fondò in Cina una assai influente religione laica, o non religione. Il suo pensiero rappresenta un’eccezione nel panorama del continente asiatico, e rende la sua figura in parte simile a quella dell’europeo Socrate, il padre di tutti i filosofi.
Ma nonostante questa importante eccezione, in Cina, in India ed anche in Giappone, il “progresso” così come oggi lo conosciamo, dovette attendere l’arrivo della cultura occidentale per assumere quel ritmo incalzante che attualmente lo contraddistingue.
L’Occidente, il Vecchio Mondo tra il Mar Nero e il Mare del Nord, è stato effettivamente la culla di quel movimento filosofico, tecnico e scientifico che si può riassumere in una parola con il termine di “progresso”.
Ma anche qui, in queste terre, la cristallizzazione del Verbo nei Testi Sacri si accompagnò nei primi tempi dell’era cristiana all’insorgere di vasti movimenti ascetici che predicavano il rifiuto del mondo e la rinuncia alla pretesa di modificarne l’assetto in senso antropocentrico.
È il fenomeno dell’anacoretismo, praticato dai Padri del deserto, tra cui spicca il nome di Sant’Antonio Abate (251 – 356 d.C.). Costui non fu certamente il primo a fuggire le insidie del mondo, ma di lui ci è rimasta l’importante biografia “Vita di Antonio”, redatta da Atanasio di Alessandria, che ci consente di approfondirne il pensiero e le motivazioni.
Per meglio comprendere le contrastanti posizioni che a quei tempi agitavano le coscienze delle classi più colte, occorre tener conto che in Occidente il “progresso” intellettuale aveva già preso avvio da alcuni secoli, e più precisamente da quando Platone, assieme al suo maestro Socrate e al suo allievo Aristotele, aveva posto le basi del pensiero filosofico – razionale.
Ebbene, Antonio l’Anacoreta conosceva tali dottrine e le bollò come contrarie alla religione nel più famoso dei suoi sermoni.
«I greci lasciano la loro terra e attraversano il mare per apprendere le lettere; noi non abbiamo bisogno di lasciare il nostro paese per trovare il regno dei cieli …»
«Anche i demoni furono creati buoni, ma, decaduti dalla sapienza del cielo e aggirandosi poi attorno alla terra, ingannarono i greci con le loro apparizioni.»
«I demoni … quando vedono che gli uomini hanno paura aumentano le loro apparizioni per spaventarli ancora di più, poi li assalgono e li deridono dicendo: “Prostratevi e adorateci”. Così riuscirono a ingannare i greci e presso di loro vennero falsamente considerati dèi.»
E infine ecco l’aperta dichiarazione dell’inutilità, anzi della dannosità del “progresso”:
«Se l’anima custodisce la sua facoltà spirituale conforme alla natura, allora nasce la virtù. La custodisce conforme alla natura quando essa rimane tale e quale è stata creata, ed è stata creata bella e retta al di là di ogni misura … se perseveriamo nello stato in cui siamo stati creati, dimoriamo nella virtù; se, invece, meditiamo cose perverse, saremo giudicati malvagi.»
E cosa sarebbero le “cose perverse” da meditare se non i frutti della ragione che spingono l’uomo ad allontanarsi dallo stato di natura?
Questo primo excursus tra gli oppositori del “progresso” è stato forzatamente breve, laddove occorrerebbe un infinito numero di volumi per approfondire la questione.
Ma certamente il lettore curioso troverà il modo di farlo.
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Pubblicato su “Che vi do?” N. 89 Marzo 2018, organo della Società Pane Quotidiano
Un pensiero riguardo “Il cammino del progresso e i suoi oppositori – 1 – Ascetica orientale e occidentale”